Stagione 1987-1988, come il “Vate” portò alla Scavolini-Pesaro il suo primo scudetto

La storia sembrava scritta: una squadra forte sulla carta, ma destinata a perdere. Però, l’intuizione geniale di Valerio Bianchini ribaltò le sorti del campionato di Serie A.

Aurora Sansotari, blogger quasi mai in vacanza.

Amore per il calcio? Semmai, amore per lo sport (questa volta tutto). Così, gira che ti rigira (è questo un modo di dire volgare, dal termine latino vulgus, cioè folla), tornano in mente quegli episodi che ci insegnano come eravamo e probabilmente come siamo oggi. Era il 1987, quando “L’Hangar”, cioè il Palasport di Viale dei Partigiani di Pesaro, ogni domenica veniva letteralmente preso d’assalto dai numerosi tifosi che, in quegli intramontabili anni ‘80,  ne avevano fatto un santuario del basket a livello internazionale. In quel caso, la squadra da seguire era la storica Victoria Libertas Pallacanestro, fondata ufficialmente il 1°luglio 1946, ma che già dal 1974 aveva il nome di Scavolini-Pesaro per suggellare un nuovo rapporto di sponsorizzazione con la ‘famiglia più amata dagli italiani’, tanto che la stessa, Scavolini appunto, nel 1985 ne aveva assunto la presidenza.

 C’era la volontà di credere in un progetto ambizioso chiamato scudetto ma, nonostante la squadra fosse forte (fortissima) sulla carta, proprio quel traguardo sembrava sfuggire, mentre la sfilza degli insuccessi sembrava allungarsi, a partire dal 1982. In quell’occasione, la VL (abbreviazione di Victoria Libertas) perse la sua sfida-scudetto contro l’Olimpia Milano, riuscendo a ricucire il rapporto con se stessa e con il suo pubblico solo in un secondo momento. Nel 1983, infatti, vinse la Coppa delle Coppe contro il Villeurbanne, mentre il 1985 è l’anno dell’affermazione casalinga: la Scavolini-Pesaro vinse contro il Varese, portando a casa la Coppa Italia. Però, alle due vittorie seguirono, probabilmente per opera di una sorte beffarda, sconfitte assai dure da digerire: sempre in quel turbolento1985, la Scavolini-Pesaro perse la sua seconda finale-scudetto contro Milano, ma le delusioni più cocenti si consumarono nella regina delle competizioni europee. La VL riuscì a perdere ben due finali di Coppa delle Coppe: una nel 1986 contro il Barcellona e l’altra, come un fulmine a ciel sereno, nel 1987 contro la  solita Villeurbanne

Però, proprio il 1987 sarà l’anno della svolta: sulla panchina, infatti, siederà Valerio Bianchini, soprannominato “Il Vate”. L’allenatore di grande esperienza vantava al suo attivo due scudetti, vinti rispettivamente contro la Roma e il Cantù, mentre la sua squadra era composta da un gruppo ‘storico’: cioè, Walter Magnifico, Ario Costa, Andrea Gracis, Renzo Vecchiato, Domenico Zampolini e Giuseppe Natali. Tra gli altri, facevano parte della squadra anche Aza Petrovic, fratello del più famoso Drazen, arrivato dal Cibona Zagabria, e Greg Ballard, realizzatore preso tra i Warriors dell’NBA ossia dai Golden State.

Proprio per gli eventi che accaddero in quegli anni, il coach Bianchini è ancora oggi nel cuore dei tifosi (risale al 1975 la nascita del gruppo ultras della squadra, l’Inferno Biancorosso), così come accade la stessa cosa per l’allora giovane Sergio Scariolo, quest’ultimo destinato, per le sue capacità, ad entrare nell’élite del basket a livello internazionale. Anche in quella stagione, la partenza fu tutt’altro che in discesa. Bianchini, dal canto suo, aveva carta bianca, ma non ci volle tanto per capire che, in quella squadra così ‘italiana’, mancasse qualcosa (forse maggiore atletismo, probabilmente più leadership). Così, il “Vate” giocò la sua contromossa: prima della quarta di ritorno, si finse malato e volò verso gli Stati Uniti. Qual era il suo intento? Vedere Darwin Cook giocare dal vivo. Ciò avvenne a Lacrosse, durante una partita in cui l’ex-giocatore di Washington e New Jersey venne preso a pallonate da Sugar Ray Richardson. Nel frattempo, giunsero notizie funeste da Livorno. Quella sera, Bianchini andò a cena con un Cook sconfortato, ma il giocatore dovette capire il suo stato d’animo e gli sussurrò: “Mister, io sono il tuo uomo”.

Cosa successe dopo

Dopo Cook, in squadra entrò Darren Daye

Alla decima di ritorno, Cook sbarcò a Pesaro. Dopo circa due settimane, arrivò in squadra un certo Darren Daye, allora chiamato il “Cerbiatto”, senz’altro per la sua agilità nel raggiungere il canestro. Il debutto della coppia, però, segnò un’ulteriore sconfitta, quella contro la Virtus Bologna. Ma Pesaro fece presto a rialzarsi, portando a casa il risultato contro Caserta e Cantù e conquistando a suon di morsi il quinto posto in regular-season. Tuttavia, ciò non valse la qualificazione diretta ai quarti di finale, riservata suo tempo alle prime 4, però si ottenne il passaggio ai playoff. L’assetto della squadra era, in realtà, profondamente diverso, non cogliendo all’inizio il bene placet di molti. Alcune partite, anzi, finirono all’urlo di: “Coach, stai cambiando più neri di una pornostar”. Le circostanze, però, seppero stupire e il ciclo della coppia (qualcuno direbbe dei cioccolatini) proseguì a vele spiegate. 

Come si arrivò allo scudetto

La storia professionale di Darren Daye sembrava essere giunta ad un bivio: per un’intervista in cui si rivelò essere particolarmente ‘loquace’, venne messo in disparte nei Boston Celtics di Larry Bird e Kevin McHale, uscito ancora prima da UCLA e dagli Washington Bullets. Così, giungendo a Pesaro, il giocatore dimostrò, da subito, carattere da vendere. Di lì a poco, grazie anche alle sue qualità tecniche che lo rendevano imprendibile in 1vs1, formerà, insieme a Darwin Cook (due americani, appunto) una delle coppie di basket più forti di sempre, esportando (per quanto ci riguarda, importando) una costruzione di gioco che, come si usa dire in gergo, era “verticale” ed innovativa rispetto agli schemi proposti fino a quel momento. 

La cavalcata finale

Il trionfo

Il tabellone segnava i seguenti risultati: fuori Reggio Emilia in 3 partite, battute anche Caserta sul 2-0 e la capolista Varese con un 2-1. Così, non passò molto tempo che arrivò la finale. L’avversaria (di sempre) era la Tracer Milano, ma l’uscita di un articolo della giornalista Emanuela Audisio su “Repubblica”, in quei giorni,  fomentò gli animi. Il pezzo titolava: “Casalini  come robocop”. A quel punto, il “Vate” lasciò correre, concentrandosi solo sulla propria squadra in vista dell’esordio programmato in Viale dei Partigiani. La serie-scudetto era 1-2-1-1 ed il primo incontro si concluse proprio a favore dei pesaresi, 90-82, come quasi da tabella di marcia già scritta.

In gara-2 si giocò a Milano e qualcuno ricorda ancora un episodio, verificatosi prima del match. Sembra che Daye si affiancò ad un telecronista di Antenna3, cioè l’emittente che trasmetteva le gare della squadra di Pesaro. Allora, gli chiese di preparare un video con i suoi best moments. L’uomo acconsentì: “In caso di vittoria, non chiederò nulla. Al contrario, farai tu”. A quel punto, Daye rispose: “Oggi vinceremo noi, ma il trionfo avverrà nell’ultima partita”.

Tutto accadde secondo le previsioni di Daye, e non ci fu storia (anche questa volta, mi piace ripetere storia). A Milano, seppure in campo avversario, alla fine la spuntò Scavolini-Pesaro, 86-83. La gara-3, invece, vide vincere la Tracer Milano, 115-108. Ma l’ultimo atto ovvero la gara-4, giocata in Viale dei Partigiani, consegnò alla squadra delle Marche il suo primo scudetto, finendo 98-87. Solo due anni dopo, per la VL fu possibile arrivare in vetta alla classifica di campionato Serie A: in quel caso, sulla panchina sedeva Sergio Scariolo (quel Sergio di cui parlavamo prima), però tornò in squadra anche Cook, recatosi negli Stati Uniti dove, nel frattempo, in NBA aveva indossato le maglie di San Antonio e Denver. La coppia Darwin-Deye era finalmente tornata insieme e per la VL fu di nuovo possibile vincere un altro scudetto.  

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